



Monte Autore
6 giugno 2020
Montagna situata nel Lazio nella catena dei Monti Simbruini.
Nella provincia di Roma, di cui costituisce la vetta più elevata.
1855 metri di altitudine.
L'alba bussa alle porte del giorno.
E' ora di alzarsi e prepararsi per una nuova avventura.
Con gli occhi ancora chiusi io e la mia compagna ci avviamo alla macchina.
Apriamo gli occhi e ci ritroviamo incantati all'interno di una fiaba.
Siamo a Campo dell'Osso (1554 metri).
In sottofondo sussurrano delle note.
Un flauto canta musica celtica. La natura resta in ascolto.
Un'amica escursionista ci regala questo momento magico.
Gli spiriti si elevano e i muscoli cominciano a risvegliarsi.
Aggancio l'app di GeoResQ e si parte in tranquilla sicurezza.
Il gruppo questa volta è preparato. Cartine, bussole e altimetri di supporto al viaggio.
Trovare l'attacco del sentiero corretto resta sempre un po' problematico.
Ma una volta preso ci si avvia tenendo sempre sotto controllo le mappe.
Ci inoltriamo all'interno di una fittissima faggeta seguendo il sentiero 673d.
La radura dei Cannavacciari interrompe per un attimo la parte boschiva, che riprende subito dopo.
Il percorso da qui prosegue..tutto in discesa. Molta discesa.
Nonostante la vetta sia in alto.
Un picchio ci saluta dal suo albero, intento nei lavori domestici.
Ci ritroviamo più in basso rispetto al punto da dove eravamo partiti.
Ora inizia l'enorme salita che ci porterà fino alla vetta.
Armiamo le gambe e sfidiamo la fatica.
Il tratto è lungo e in costante ascesa.
Ma l'arrivo ripaga pienamente lo sforzo fatto.
Una distesa di viole (?) riempie gli olfatti.
Il panorama dei Monti Simbruini circostanti riempie le viste.
Ci troviamo nella sella delle Vedute. A pochi metri dalla vetta.
Vetta che raggiungiamo prontamente.
Due croci ci avvisano che siamo arrivati a 1855 metri. Alla sommità della montagna.
L'ora è quella giusta per rifocillare pancia e mente.
Il pranzo al sacco è ora servito. C'è anche chi opta per un sacco di pranzo.
Foto di rito.
Ci scostiamo dal rumore dei numerosi avventori e ripieghiamo in una piccola cima più in basso.
Accarezzata dal vento, si innalza una giga*.
C'è pace ora.
Non c'è più fatica. Non ci sono più pensieri che appesantiscono la testa.
Ci lasciamo cullare, neonati.
Ricaricati a dovere, dopo un'oretta di sosta, riprendiamo il cammino.
Adesso è la discesa ad essere ripida, ma non molto costante.
Con pochi passi, ci troviamo parecchi metri più in basso.
Prendiamo un nuovo sentiero che ci riporterà alla sella delle Vedute.
A metà strada circa giungiamo al cospetto di un abitante secolare della montagna.
Il saggio acero ci protegge con le sue enormi braccia e noi lo ringraziamo cingendo il suo tronco possente.
E' stato un onore.
Già nostalgici, continuiamo per la nostra via.
Oltrepassiamo la sella e, dopo un piccolo pezzo in salita, il sentiero si getta a capofitto nella faggeta.
Diversi occhi indiscreti seguono il nostro cammino dall'alto.
Poiane rondano il loro territorio.
Inoltrati nel bosco, il terreno diventa una pista da scivolo.
Fango e foglie bagnate rendono ardua la nostra stabilità.
Nonostante ciò arriviamo in poco tempo alle macchine, con i sederi ancora integri.
Sei ore di attività e meno di una quindicina di chilometri percorsi.
Non è ancora il tempo degli abbracci. Il timore e la suggestione ci fanno formali.
Salutiamo comunque i nostri compagni in avventura direzione Vallepietra prima e casa poi.
Il Santuario della Santissima Trinità è il nostro obiettivo.
Spezzato a 20 km di distanza da una transenna che vieta il passaggio.
Lo scoramento attanaglia le mie viscere.
Non riuscirò nemmeno oggi a raggiungere il benedetto e santissimo santuario.
La memoria mi porta davanti gli occhi un ricordo di un viaggio lontano.
Passiamo davanti un luogo noto.
Pochi metri oltre un ponte pericolante ci presentano una meraviglia.
Le cascate di Trevi.
Un giusto compenso per la lunga deviazione fatta.
La soddisfazione è completa.
Ci siamo guadagnati il rientro a casa.
*di origini inglesi o irlandesi; una danza antica di andamento veloce, molto diffusa nel XVII e XVIII secolo